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KORDOFAN, IL CIELO SPEZZATO DEL MONDO*

*KORDOFAN, IL CIELO SPEZZATO DEL MONDO*

_di Cristina Di Silvio_

*Dove la fede si piega alla guerra e la legge diventa silenzio*

 

Ci sono luoghi dove la Storia non è mai finita, dove la sabbia custodisce le rovine delle antiche teocrazie e il suono dei droni si confonde con l’eco dei muezzin. Il Kordofan, quell’ampio altopiano al centro del Sudan, è oggi uno di questi luoghi. Un teatro operativo in cui tattica, logistica, religione e diritto internazionale si intrecciano in una spirale che pare uscita dal futuro, ma affonda le sue radici nei secoli più oscuri dell’umanità. Oggi, nel cuore dell’Africa nord-orientale, il Kordofan è una sinfonia di motori blindati, di artiglierie e di preghiere interrotte. Le forze regolari del Sudanese Armed Forces (SAF) combattono la milizia delle Rapid Support Forces (RSF), nata dalle sabbie del Darfur e divenuta potenza armata autonoma. Sul terreno agiscono anche le fazioni del Sudan People’s Liberation Movement-North, che difendono le montagne Nuba come se fossero l’ultima cattedrale di un’umanità minacciata. Intorno, una popolazione sfinita: centinaia di migliaia di civili costretti a lasciare le proprie case, ospedali bombardati, infrastrutture ridotte a macerie. Il diritto umanitario, le Convenzioni di Ginevra, il Protocollo I, la fragile architettura morale del dopoguerra, tenta di sopravvivere tra le macerie. Ma la domanda, sussurrata nei corridoi delle organizzazioni internazionali, è sempre la stessa: può ancora il diritto resistere, quando la fede diventa fucile e la politica si traveste da Dio? Per comprendere il Kordofan bisogna abbandonare la geografia e risalire la Storia. Qui, dove oggi passano i convogli militari, scorrevano un tempo le carovane dell’oro e dell’incenso. Nel XIX secolo, l’annuncio del Mahdi, il redentore islamico che voleva purificare la fede e liberare il Sudan dal dominio straniero, incendiò l’intero Paese. Fu una rivoluzione religiosa e politica, un esperimento di teocrazia africana che già allora mostrava come il sacro, quando si fonde col potere, diventa esplosivo. Poi venne il tempo coloniale. Gli inglesi divisero il Paese in due mondi: il Nord musulmano, arabo e centralizzato, e il Sud cristiano-animista, periferico e frammentato. La religione divenne frontiera, la cultura divenne confine. E così, dopo l’indipendenza del 1956, il Sudan entrò in una lunga stagione di guerre civili, fino alla secessione del Sud Sudan nel 2011. Ma proprio il Kordofan, regione ponte tra i due universi, rimase sospeso, né del Nord né del Sud, con le sue popolazioni miste, le sue risorse contese, e la sua antica complessità etnica e spirituale. Oggi, quel nodo irrisolto è tornato a bruciare. Nel Kordofan, la guerra non è soltanto un fatto militare: è un rito. Ogni villaggio conquistato viene “purificato”, ogni sconfitta viene giustificata come castigo divino. Le RSF invocano l’ordine della nazione, l’esercito regolare rivendica la legittimità dello Stato, ma la logica che li muove è la stessa: il potere come forma di salvezza. Intanto, la tecnologia militare, i droni ISR, l’artiglieria mobile, i convogli blindati, trasforma il deserto in un laboratorio di guerra contemporanea. Ma ciò che colpisce non è la modernità delle armi: è l’arcaicità dei motivi. La fede, l’identità, l’etnia: elementi antichi che ritornano, in un’epoca che si credeva laica. Il conflitto del Kordofan è la dimostrazione che il Medioevo non è mai finito, si è semplicemente digitalizzato. Le Convenzioni di Ginevra impongono la distinzione tra civili e combattenti, tra luoghi sacri e obiettivi militari. Eppure, in questa guerra, le chiese diventano rifugi, le moschee si trasformano in ospedali, gli ospedali in bersagli. Il sacro si dissolve nella strategia, e la legge, quella che dovrebbe essere universale, si trova a fare i conti con milizie che non riconoscono nessuno, se non se stesse. Ecco la tragedia: la religione che avrebbe dovuto fondare l’etica viene usata per disinnescare l’etica. Nel Kordofan, le preghiere si confondono con gli ordini di fuoco. Il cielo non distingue più fra il suono di una campana e quello di un razzo. Ma non tutto è perduto. Ci sono imam e sacerdoti che operano insieme, curando i feriti di ogni fede. Ci sono medici che non chiedono chi sia “amico” e chi “nemico”. Ci sono donne che insegnano ai bambini a leggere sotto le tende, come atto di resistenza. Sono loro, oggi, i custodi silenziosi delle Convenzioni di Ginevra: non nei tribunali, ma nei gesti quotidiani di chi rifiuta l’odio. Intorno al Kordofan si muove la grande partita delle potenze. Le rotte del petrolio, le miniere di oro, le vie di accesso verso il Sahel e il Nilo azzurro fanno di questa regione un nodo strategico. Le diplomazie si muovono con prudenza, nessuno vuole inimicarsi un futuro vincitore. Gli Stati Uniti, l’Europa, i Paesi del Golfo, la Cina osservano, sostengono operazioni umanitarie, tentano di preservare l’equilibrio. Ma la verità è che questa guerra, come molte guerre africane, è il punto cieco del mondo: tutti la conoscono, pochi la guardano davvero. Ogni epoca ha avuto il suo Kordofan. Nell’antichità, era la terra di passaggio tra l’Egitto e l’Africa nera. Nel XIX secolo, fu la culla del Mahdismo e della rivolta religiosa. Nel XX, la frontiera delle guerre civili tra Nord e Sud. Nel XXI, è diventato lo specchio della crisi globale: dove la religione perde la sua anima, la politica la sua legittimità, e il diritto la sua forza. Ma se la Storia ci insegna qualcosa, è che ogni rovina può contenere un seme. Il Kordofan, oggi, è la prova più alta, e più terribile, della capacità dell’uomo di distruggere ciò che crede di difendere. Eppure, nella resistenza dei civili, nella tenacia dei soccorritori, nella fede che sopravvive sotto le bombe, si intravede ancora la possibilità di un riscatto. Ciò che accade in Kordofan non è un conflitto periferico: è il banco di prova della nostra civiltà. Se il diritto umanitario cede qui, cede ovunque. Se la religione continua a dividersi, invece di riconoscere la sacralità della vita, allora l’intera idea di umanità si svuota. Non c’è neutralità possibile davanti a un ospedale colpito, a una croce e a una mezzaluna incise sullo stesso muro, a un bambino che prega sotto le bombe. Il Kordofan ci riguarda tutti, perché è lì che il mondo misura la distanza tra ciò che proclama e ciò che permette. Forse un giorno, quando le armi taceranno, qualcuno riscriverà la storia di questa terra. E allora si dirà che, tra le macerie, non tutto fu perduto: che c’erano uomini e donne che credettero nella legge più antica di tutte: quella che impone, prima di ogni religione, di restare umani.

 

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Noha Iraqi

نهى عراقي.. ليسانس أداب.. كاتبة وشاعرة وقصصية وكاتبة ومحتوى وأبلودر

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