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Israele dichiara “zona militare chiusa” al confine con l’Egitto: l’allarme sui droni, il ruolo dei beduini del Negev e la reazione delle comunit

Israele dichiara “zona militare chiusa” al confine con l’Egitto: l’allarme sui droni, il ruolo dei beduini del Negev e la reazione delle comunità

di Chiara Cavalieri

TEL AVIV- Il 6 novembre 2025, il ministro della Difesa Yisrael Katz ha annunciato che l’area adiacente al confine fra Israele ed Egitto è stata trasformata in “zona militare chiusa”, con nuove regole d’ingaggio che autorizzano le forze armate israeliane (IDF) a colpire operatori di droni e trafficanti che penetrino nell’area vietata.

Secondo la comunicazione ufficiale, lo scopo è fermare il contrabbando di armi tramite droni che attraverserebbe la zona del deserto del Negev, collegando la frontiera egiziana con l’interno israeliano.

I numeri e le testimonianze

Negli ultimi tre mesi, sono state registrate circa 900 incursioni di droni dalla zona egiziana verso Israele, contro i 464 dello stesso periodo del 2024.

In una sola comunità al confine, durante le festività di Rosh Hashanah, sono state riportate circa 550 incursioni di droni in 72 ore.

Le armi trasportate via drone includerebbero “LAWs e mitragliatrici pesanti”.

Un rapporto sostiene che le operazioni di droni sono gestite da cartelli beduini nelle comunità del Negev: “Droni, contrabbando di armi e cartelli beduini hanno trasformato il confine con l’Egitto in una zona grigia dove sicurezza interna ed esterna si confondono”.

Il ruolo delle comunità beduine del Negev

Le comunità beduine della zona del deserto del Negev giocano un ruolo complesso nella dinamica del contrabbando:

Un’organizzazione israeliana (Regavim) ha denunciato che “ogni giorno, corridoi alimentati da droni veicolano centinaia di armi e munizioni verso tutta Israele” orchestrati da elementi beduini, con negozi locali che vendono droni e attrezzature di sorveglianza.

Secondo il consiglio regionale di Ramat Negev, “i droni volano sopra le nostre teste ogni notte e le armi vengono testate nei campi vicini”.

Un residente ha dichiarato: “Mi siedo sulla veranda e i droni passano sopra… un giorno lanceranno una bomba su un asilo”.

Le istanze delle comunità civili e degli insediamenti israeliani

Nell’area dell’insediamento di Fateh/Nitzana (confine meridionale con l’Egitto) e del consorzio regionale di Ramat Negev, i responsabili locali e gli abitanti esprimono scetticismo e chiedono un piano più ampio:

Un residente ha commentato: “Sì, è un buon primo passo… ma abbiamo bisogno di un piano più ampio che affronti le cause profonde. Abbiamo la legge Reuven in attesa alla Knesset… lo Stato deve agire”.

Il consiglio regionale ha dichiarato: “Dichiarare la zona militare chiusa non cambierà nulla sul campo se non si bonifica la palude, smantellando le reti di contrabbando e contrastando le armi illegali con severe operazioni di controllo.”

Inoltre hanno invitato il governo a rafforzare gli insediamenti ebraici nella regione, sostenendo che “la vera sicurezza deriva da una presenza umana permanente”.

Il punto di vista egiziano e le implicazioni diplomatiche

Da Il Cairo, l’analista militare Wael Rabie, del Centro per gli studi strategici dell’Accademia militare egiziana, ha definito la mossa israeliana come segnale di “isteria per la sicurezza senza precedenti” e un tentativo di Israele di trovare un “nemico esterno” per distogliere l’attenzione dai suoi fallimenti nella guerra a Gaza, in Libano e in Siria. Egli ha affermato che molte delle operazioni di contrabbando si verificano all’interno di Israele, non “dal lato egiziano”, e che l’Egitto continua a rispettare gli accordi del trattato di pace.

Le sfide operative e strategiche

La chiusura della zona rischia di spostare le rotte del contrabbando più lontano o più in alto, rendendole forse più difficili da intercettare.

Il fenomeno richiede un mix di tecnologia (anti-drone, radar), intelligence, azioni legali, e cooperazione bilaterale Israele-Egitto; la sola militarizzazione rischia di essere insufficiente.

Nel contesto delle comunità beduine, l’inasprimento delle misure potrebbe alimentare tensioni sociali se non accompagnato da un progetto socio-economico integrato, che includa servizi, riconoscimento fondiario e opportunità locali.

Sul piano istituzionale israeliano, l’adozione della retorica “dichiariamo guerra” denota un cambio di paradigma nella dottrina di sicurezza meridionale, ma la trasposizione in legislazione e azione reale rimane da vedere.

La decisione di Katz di dichiarare la zona di confine con l’Egitto “zona militare chiusa” è un segnale forte: Israele prova a rispondere alla crescente minaccia dei droni e del contrabbando d’armi che coinvolge anche comunità beduine del Negev. Ma la vera sfida sarà trasformare il segnale in azione efficace, integrare le comunità locali e mantenere un bilanciamento tra sicurezza, società e cooperazione regionale. Senza questa visione integrata, c’è il rischio che l’operazione diventi un simbolo più che un cambiamento reale: un colpo d’effetto, ma non la soluzione.

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Noha Iraqi

نهى عراقي.. ليسانس أداب.. كاتبة وشاعرة وقصصية وكاتبة ومحتوى وأبلودر

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